Nella piazza fuori dalla stazione niente negozi di souvenir, ma bassi edifici in mattoni rossi. Vi incamminate nel freddo, prendendovela comoda; notate una vecchia libreria di due piani e decidete di entrare.
Le pareti sono interamente coperte da scaffali in mogano che con il tempo si sono incurvati al centro, talmente sono zeppi di libri. Anche il pavimento è in legno, un parquet in rovere a listelli sottili da cui emerge, come se ne fosse una protuberanza naturale, una scala che porta al piano superiore.
«Ho fame. Vediamo se hanno il wi-fi così cerchiamo un posto dove mangiare» annunci alla tua fidanzata. Mentre lei guarda i libri rimani gran parte del tempo con il telefono in mano come un rabdomante alla ricerca di un pozzo. Nessun accesso.
«Mi scusi,» chiedi alla cassiera «saprebbe consigliarci un posto tipico dove andare a mangiare?».
La signora dietro al bancone rimane alcuni istanti a fissarvi.
«La cucina di qui non è buona,» tiene a precisare «di dove siete?».
«Italia».
«No, no,» ripete scuotendo la testa «qui si mangia pesce crudo, perché volete mangiare così?».
Altri dipendenti si uniscono alla discussione, non riescono a capacitarsi della vostra richiesta, parlottano animatamente tra di loro per alcuni minuti. Alla fine la cassiera vi porge un foglietto con una mappa abbozzata e, nella piazza centrale, il nome di un baracchino.
«Come la mangerebbe lei» rispondi al venditore, un uomo robusto con guance segnate dal freddo.
Ti serve qualcosa di molliccio avvolto in un pezzo di carta. Guardi la pelle dell'aringa che sembrava ricoperta di gelatina e la avvicini al naso. Non ha odore, ma senti aumentare la salivazione sotto la lingua e al tempo stesso senti una morsa alla gola.
Addenti con una smorfia, tra le risate della tua fidanzata e dell'olandese paffuto.