Lazio, Civita di Bagnoregio, giugno 2009

veduta di Civita di Bagnoregio

«Scordatelo».

«Ma dai amore! Di là poi è meraviglioso,» dici tu.

Laura è ferma all’ingresso del ponte che unisce il parcheggio alla “città che muore”, un paesino di sette abitanti seduto in cima a un calanco argilloso. Le erosioni che hanno formato questa altura continuano ancora oggi.

Quel viadotto in salita, alto sulla valle, con il vuoto ai lati e battuto da continue folate di vento, ricorda un ponte tibetano nonostante sia in cemento.

«Laura dammi la mano che ci arriviamo insieme».

«Perché? Perché continuo a darti retta?».

Le prendi la mano e la stringi, un gesto che non facevi da tempo.

«Ho sbagliato, ho sbagliato tutto nella vita» continua a borbottare Laura.

«Tra qualche anno» riprendi girandoti verso di lei «potrebbe non esserci più, sarà franato tutto».

«Dio volesse» ti risponde tenendo lo sguardo basso per non vedere lo strapiombo al di là dei parapetti e si mette dietro di te per ripararsi dal vento.

Arrivate alla porta d’ingresso e vi ritrovate nel Medioevo. Da quell’arco sembra possa uscire da un momento all’altro San Bonaventura, a rimproverarvi per la vostra poca fede. Case in pietra diroccate, ciottoli per terra, stradine anguste e, in fondo, la chiesa e la piazza dove una volta si riuniva il paese.

«Andiamo a prendere un caffè?».

«Perché c’è anche un bar?» ti risponde sfilando la mano dalla tua come se bruciasse.

«Certo, e anche un ristorante. Dove pensi mangino le sette persone che abitano qui?». Non ride.

Ti avvicini al lavatoio in pietra. «Ci pensi che le donne lavano ancora i panni qui?».

«Che culo».

«Laura però dammi una mano…».

«Lo sai, non ci volevo venire. Anzi io non volevo andare da nessuna parte. Anzi no, vorrei andare via, ma per sempre!». Vede la luce accesa del bar ed entra.

Continui ad andare avanti e arrivi alla chiesa di San Donato nella piazzetta lastricata in granito e tufo e chiusa da case coi balconi ricolmi di dalie, garofani e begonie, in un trionfo di rosso, giallo e bianco.

Torni indietro e vedi Laura uscire.

«Nemmeno il caffè!» e tira un calcio a un ciottolo. «Voglio tornare a casa. La mia».

«E Orvieto?».

«Annulla la prenotazione. Voglio andarmene».

Tornate indietro, passate la porta e Laura percorre da sola il ponte. La guardi sgambettare davanti a te senza riuscire a raggiungerla.

Quando
Giugno
2009