Malesia, Borneo, luglio 2014

Malesia, Borneo, interno della casa della tribù Iban

La canoa a fondo piatto scivola sull’acqua. Una persona davanti a te, due dietro. Ogni tanto un dorso grigio-verde affiora dal lago torbido. Lo sguardo scatta a controllare.

«Troncodrilli» dice il timoniere. Qui non ci sono animali: l’acqua ha sommerso la foresta.

Ecco, la vedete. Sulla sponda, tra gli alberi, c’è la longhouse, una palafitta lunga e stretta: sembra un molo con il tetto. Attraccate e vi arrampicate su. Appesi all’ingresso ci sono dei teschi umani. Stravecchi e consunti, ma ancora minacciosi. Qui abitano gli Iban, che non sono un team di contabili, ma una tribù aborigena del Borneo; una volta erano feroci, tagliatori di teste, forse anche cannibali.

Il timoniere vi fa lo spiegone. Nella longhouse vive una famiglia allargata, in totale condivisione di spazi, risorse e compiti. Comunismo concreto, zero politica. È il capofamiglia a ricevervi. Ha uno scorpione tatuato sulla gola. I tatuaggi Iban simboleggiano riti di passaggio, successi nella caccia, vittorie in battaglia. Torni a guardare per un attimo i teschi appesi. Per gli Iban l’anima risiede nella testa e prendere la testa del nemico significa impadronirsi della sua anima. Cazzutissimi, gli Iban.

Nello spazio comune, uomini a torso nudo intagliano maschere di legno e statuine col pisello dritto; donne con il batik sono sedute per terra a cucinare; bambini piccoli giocano o dormono sul pavimento di bambù.

«No foto bambini. No foto chi dorme» dice il timoniere. Rispetti la richiesta, ma quando nessuno ti guarda rubi comunque uno scatto.

Vi offrono tuak, una specie di grappa di riso, e del pollo alle verdure cotto dentro una canna di bambù. Poi danzano per voi, vi fanno indossare i copricapi tradizionali e posano per la fotografia, ma non guardano nell’obbiettivo.

Si sente il motore di un autobus che si ferma, freni che stridono. Dietro alla longhouse passa una strada, ma dal lago non si vede. Entra una dozzina di bambini: avranno otto-dieci anni e indossano la divisa della scuola. Una bambina raggiunge la madre, seduta in terra a sbucciare patate. La bambina ha una camicia bianca, una gonna blu e le scarpe, la madre indossa solo il batik. La bambina prende un foglio dalla cartella e lo legge (forse un tema, o la pagella), la madre ascolta con serietà, la manda in casa. La bambina si sfila le scarpe e spinge la porta. Dallo spiraglio scorgi un televisore e le casse di uno stereo, coperte da un centrino come quelli di tua nonna. Poi senti della musica uscire dalla stanza.

Mentre tornate alle barche ti volti a dare un’ultima occhiata. Accanto alle teste ammuffite c’è una cassetta per la posta e la longhouse ha pure il numero civico.

Quando
Luglio
2014