Bhutan, Thimphu, ottobre 2015

Donna davanti a una casa in Bhutan
foto di Steve Evans

Quando arrivi l’aeroporto sembra un tempio o un museo tanto è raffinato. Non c’è una parte che non sia decorata e dipinta. Fotografi pareti, colonne, porte, finestre, cornici, frontoni, lampade. Ogni immagine diventa un quadro astratto. Ogni particolare è fatto di altri particolari, in una fuga di frattali, all’infinito.

Gli uomini qui hanno un vestito che sembra da donna: è una stoffa avvolta intorno al corpo, forma una gonna fino al ginocchio. Ai piedi hanno calzettoni e mocassini; alle maniche due risvolti alti e bianchissimi; l’insieme è molto elegante.

Ti mostrano un verme disidratato, diventato come uno stecco: se lo mangi, guarisci da tutti i tuoi mali passati, presenti e futuri. È costosissimo, raro, orribile all’aspetto. Non hai il coraggio di metterlo in bocca.

Il Lama Drukpa Kunley, uno dei santi più venerati, diceva: Uso parole belle o sconce per i Mantra, sono tutte uguali. Le mie pratiche di meditazione sono le fanciulle e il vino”. Il suo emblema è il fallo e lo si vede esposto in ogni parete delle case, dipinto, di legno, di pietra.

Per entrare nello Dzong di Thimphu ti devi togliere le scarpe. L’esterno è bianco e sobrio. Il metallo della soglia è liscio, caldo dove batte il sole. Legno all’interno, risuona sotto i piedi, levigato dai passi. La luce è scarsa, i tuoi occhi si abituano piano piano: a prima vista vedi solo colori; hai la sensazione di un cambiamento di luogo, ma anche di tempo. Sei in un presente immobile, gli oggetti e le immagini che vedi sono lì da sempre oppure sono appena comparsi. L’aria è piena dell’odore del burro: è il materiale di cui sono fatte le complicatissime sculture ed è il combustibile delle tante lampade accese, ciotoline di ottone che sembrano d’oro.

Le figure dei dipinti e delle statue sono aliene, ma dopo il primo spaesamento ci ritrovi le tue paure, le colpe, i desideri, i sogni, le aspirazioni. Gli occhi, quelli dell’ira, sono uguali ai nostri, ma anche quelli dell’attenzione, della compassione, dell’amore. Anche i gesti te ne richiamano altri, visti fin dall’infanzia. Sono piedi che schiacciano demoni e serpenti, mani che impugnano spade sguainate e fiammeggianti oppure protese per proteggere e benedire.

Ti sembra di essere nel convento dei Cappuccini vicino alla tua vecchia casa: accanto c’era un leccio di seicento anni; dentro la chiesa una statua della Madonna schiacciava col piede la testa di un serpente; l’aria era piena dell’odore della cera delle candele accese e dell’incenso bruciato.

Quando
Ottobre
2015

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