
Roberto sbuffa e torna a sedersi all’unico tavolino del bar dell’aeroporto di Djanet.
«Non vendono nemmeno una guida dell’Algeria!» dice posando lo sguardo su di te e poi sugli altri compagni di viaggio.
Per tutta risposta riceve un paio di sbadigli e qualche alzata di spalle. Di lì a poco avvistate un algerino slanciato che ondeggia verso di voi avvolto in una tunica color avorio.
«Caravane de la Suisse?» chiede sguainando una fila di denti cariati. Risuona un coro d'assenso, vi presentate, e seguite Mohammed verso le jeep. Vi stipate dentro e partite per il deserto.
«E des? In dua nem? » ti chiede Romilda nel suo dialetto.
«Tassili n'Ajjer» rispondi tu. Ma se le avessi detto «Parigi» sarebbe stato uguale.
Nel buio della notte non riuscite a vedere bene il luogo dell’accampamento. Così, mezzi stralunati, rovistate nei borsoni cavandone fuori pile ad alto voltaggio e sacchi a pelo per temperature siderali.
Ti corichi accanto a una duna e, infagottata come non mai, conti qualche stella cadente, finché lo spazio profondo ti cattura e ti addormenti.
Svegliata dall’alba apri un occhio solo. La prima immagine che ti si para davanti è quella di un berbero che, seduto a gambe incrociate davanti a un focolare, ti sorride mostrandoti il suo unico dente. Controlla una teiera che ribolle sulle fiamme, sbrodolando di tanto in tanto. Apri il secondo occhio e scorgi, accovacciati tra le dune, le sagome di otto dromedari flemmatici.
Dopo una colazione di tutto rispetto la comitiva è pronta.
«On y va! Tout le monde est prêt? » chiede Mohammed con premura.
Otto dromedari si alzano malvolentieri, con bramiti raccapriccianti. La carovana è al completo, pronta a scoprire le grotte remote dell’altopiano. Partite, chi a piedi e chi in groppa a quei quadrupedi spilungoni.
Roberto, chiudendo la carovana borbotta tra sé e sé:
«D’altronde la guida dell’Algeria non è che ci sarebbe servita».